Le trappole del Energy Bill varato dal governo britannico

Le trappole del Energy Bill varato dal governo britannico

Opinion piece (Onoff-blog.it)
Stephen Tindale
17 December 2012

Il governo britannico ha pubblicato il nuovo Energy Bill. Il piano energetico deve ancora sottostare all’approvazione del Parlamento per cui è probabile che questa non sia la versione definitiva. Ma siccome i punti principali non sono oggetto di controversia tra la coalizione di governo e i Labouristi, è probabile che la riforma del mercato energetico stilata dal Segretario di Stato per l’energia Edward Davey diventi legge. Il nodo cruciale delle misure proposte è l’introduzione dei Contract for Difference al posto delle attuali sovvenzioni per le rinnovabili che oggi si distinguono in due tipologie. I Feed-in-Tariff per gli impianti fino a 5MW di potenza e Renewables Obligation per gli altri. Mentre i nuovi Contract for Difference sono dei “contratti a lungo termine per garantire ai produttori energetici low-carbon degli incentivi stabili e prevedibili”. Il punto è che questi incentivi sono riservati a tecnologie di generazione pulita quindi si qualificano non solo le fonti rinnovabili ma anche le tecnologie di cattura della CO2 e il nucleare.

La maggior parte dell’opinione pubblica britannica è favorevole agli incentivi alle rinnovabili (per quanto molti si oppongono agli impianti eolici su terraferma a causa del forte impatto paesaggistico) e al CCS. Mentre nella nuova formulazione dell’Energy Bill, il meccanismo degli incentivi tradirebbe all’impegno assunto dal Governo – e sottoscritto nell’accordo di coalizione – di non sovvenzionare l’industria nucleare. Il labourista Ed Miliband, precedente Segretario per l’Energia e il Clima ora a capo dell’opposizione, da sempre a favore dell’energia da atomo, è espressamente contrario agli aiuti all’industria nucleare. Sicché pur essendosi formalmente tutti e tre i partiti espressi contro gli incentivi, finisce che l’Energy Bill ne proponga proprio una forma anche a sostegno del nucleare.

Se andiamo a vedere la genesi della vicenda e risaliamo al Lib-Dem Chris Huhne, l’allora Segretario all’Energia che per primo, nel 2010, presentò la proposta di riforma del mercato energetico, notiamo come egli avesse anticipato le reazioni su questo punto, specificando: “non ci saranno sovvenzioni specifiche per il nucleare”. Di conseguenza aiuti pubblici generici per le tecnologie low carbon sono, dal suo punto di vista, assolutamente accettabili. E’ un approccio ragionevole.

Il nuovo piano propone l’applicazione delle Emissions Performance Standard. Si tratta del parametro che regolamenta per le nuove centrali, l’ammontare di emissioni di diossido di carbonio per unità di elettricità generata. Il limite è fissato a 450g/kWh fino al 2045. Come sostiene il Governo, questo vincola la messa in esercizio di ogni potenziale nuova centrale a carbone a meno che non sia equipaggiata con un sistema di CCS. Anche questo è un approccio ragionevole.

Tuttavia, il livello di Emissions Performance Standard non è sufficientemente stringente da obbligare i nuovi impianti a gas a ricorrere al CCS. Infatti, una centrale a gas moderna emette a pena sotto il livello consentito di 450g/kWh. Il che fa sospettare che sia per questo che sia stata scelta proprio questa grandezza. Se, in termini di cambiamento climatico, ciò promuove il gas rispetto al carbone che ne emette il doppio, non è tuttavia un argomento sufficiente per validare il gas come fonte sufficientemente low carbon. Come termini di paragone va detto che una centrale termica alimentata con fonti fossili e dotata di CCS emette 90g/kWh, una centrale nucleare 120g/kWh e un impianto eolico appena 25g/kWh.

Quindi è presumibile che il dibattito politico si focalizzi sul livello delle Emission Performance Standard. Al quale si unisce un altro punto di discussione, se si debba o no obbligare il comparto elettrico a una completa decarbonizzazione entro il 2030. Questo imperativo avrebbe delle ricadute positive sullo sviluppo di tecnologie-low e fornirebbe una maggiore certezza ai potenziali investitori (Sebbene considerato l’attuale quadro legislativo britannico su molti argomenti, compreso quello energetico, non si può ad oggi certo parlare di certezze). Il partito Labourista sostiene l’obbligatorietà della decarbonizzare dell’economia entro il 2030 e così anche diversi esponenti del partito Conservatore schierati a favore di un emendamento su questo punto. Il Governo, dal canto suo, si dichiara anche pronto a riesaminare questa disposizione ma solo dopo le prossime elezioni.

Sarebbe più logico che a fissare le Emission Performance Level fosse un organo europeo. Ma proprio la visione sul ruolo dell’Europaraccoglie le massime divergenza tra Conservatori e Liberal Democratici. David Cameron da mesi promette un discorso risolutivo sull’Europa, che ora è stato rimandato a gennaio 2013. Intanto, egli sostiene che l’Unione Europea dovrebbe impegnarsi di meno sulla riforma dei trattati e di più su emergenze come il cambiamento climatico. Quindi non è escluso che Cameron possa suggerire una strategia europea per la formulazione dei Emissioni Performance Standard. Questo rappresenterebbe un atto di forte leadership politica.

Un altro punto controverso è l’impatto dall’Energy Bill sull’utenza domestica. La Gran Bretagna ha un grosso problema di “povertà energetica” in parte dovuto al clima rigido e in parte al pessimo stato delle costruzioni. A dicembre, un comitato governativo ha reso noto che, a causa dell’aumento delle tariffe, i nuclei familiari esposti a povertà energetica salgono a 300 mila. Si tratta di budget domestici dove 10% e più va a coprire le spese di bolletta. La maggior parte degli aumenti in bolletta sono l’effetto della crescita dei prezzi energetici globali ma una parte è imputabile agli incentivi per fonti low-carbon. Il governo offre dei prestiti agevolati per migliorie della classe energetica delle abitazioni destinati a famiglie e organizzazioni. Ma l’iniziativa non è ancora completamente operativa e cresce tra i media britannici la convinzione che in tempi di crisi, i consumatori non possano sobbarcarsi l’onere della decarbonizzazione dell’economia. Dunque quelli che sono a favore della decarbonizzazione – tra cui i leader dei principali partiti – hanno tra le mani anche una sfida maggiore: persuadere l’opinione pubblica.

Stephen Tindale è Associate Fellow del think tank Centre for European Reform, fondatore di Climate Answers e ex direttore di Greenpeace UK.